Ragguaglio del miracoloso ritrovamento delle sagre
particole rapite nella Parrocchia di una terra della diocesi di Napoli
nello scorso anno 1772
Essendo io stato informato
da più persone dell'accennato prodigio, che ora sono distintamente, benché in
breve, a narrare, procurai di averne prove bastanti a poterlo pubblicar colla
stampa; onde mi riuscì prima di averne una piena relazione del fatto scritta da
un sacerdote dello stesso paese, che fu uno de' testimoni del miracolo
avvenuto; ma non contento di ciò, ho voluto leggerne co' propri occhi il
processo autentico che giuridicamente ne ha formato la curia arcivescovile di
Napoli per ordine dell'eminentissimo presente arcivescovo signor cardinal
Sersale. Il processo è ben voluminoso di 364 pagine, essendosi con molta
diligenza da' ministri della curia preso l'esame del fatto da molti testimoni,
sacerdoti e secolari, che tutti concordemente l'han deposto con giuramento. Nell'anno 1772
nella terra detta di S. Pietro a Paterno, luogo della diocesi della città di
Napoli, avvenne che ritrovossi in una mattina, alli 28 di gennaio, nella chiesa
parrocchiale aperta la custodia ove stava riposto il SS. Sagramento
dell'altare, e si videro mancare le due pissidi che vi erano, l'una più grande,
l'altra più piccola, con tutte le particole, ch'erano molte. Onde per molti
giorni stiè in lutto e pianto tutta la gente del paese; e per quanta diligenza
si fosse fatta, non poté aversi notizia alcuna né delle pissidi né delle sagre
particole. Ma ecco che nel giovedì 19 di febbraio, un certo giovine Giuseppe Orefice, di anni 18 in circa, passando la sera vicino ad un
territorio del signor duca delle Grottolelle, vide una quantità di lumi a guisa
di stelle risplendenti. Lo stesso vide nella sera susseguente; onde giunto a
sua casa, riferì quanto avea veduto a suo padre, il quale non gli diè credenza. Nel giorno seguente,
passando il padre con Giuseppe e 'l suo fratello per nome Giovanni, di età di
anni undici, per quel luogo un'ora avanti giorno, il piccolo figliuolo,
voltandosi a suo padre, gli disse: Padre,
ecco là i lumi, de' quali iersera vi parlò Giuseppe, e voi nol voleste credere.
Nella sera dello stesso giorno i suddetti figli, ritirandosi a casa, di
nuovo nel medesimo luogo videro i lumi. Di ciò ne fu fatto inteso il confessore
del nominato Giuseppe Orefice, D. Girolamo Guarino, il quale insieme con un
altro sacerdote, D. Diego, suo fratello, si portò al luogo dei lumi veduti; e
frattanto mandò a chiamare l'Orefice, il quale, giunto ivi con suo fratello, ed
un altro chiamato Tommaso Piccino, ritornarono a vedere i lumi; ma per allora i
sacerdoti nulla videro. Nella sera poi del lunedì,
alli 23 di febbraio, l'Orefice ritornò di nuovo al solito luogo col Piccino, e
con un altro uomo, Carlo Marotta; e per la strada incontrarono due forastieri
da loro non conosciuti, da' quali fermati, furono interrogati che cosa mai
fossero quei molti lumi che attualmente in quel territorio si vedevano
distintamente, che scintillavano a modo di stelle. Risposero che non sapeano, e
licenziandosi da quei forastieri, si portarono di fretta a segnare il luogo
dove allora aveano veduti que' lumi. E segnato il luogo, ch'era distante
alquanti passi dalla siepe, ed in cui eravi un pioppo più grande degli altri,
andarono a ritrovare i nominati due sacerdoti, loro raccontarono quanto ad essi
era occorso, e tutti insieme poi ritornarono al luogo segnato. Ivi giunti tutti
insieme con un fanciullo di cinque anni, nipote de' due sacerdoti, il fanciullo
si pose a gridare: Ecco là i lumi che
paiono due candele. E qui si avverta che questi lumi non comparvero sempre
della stessa maniera. Quei due lumi nel medesimo tempo li vide l'Orefice,
dicendo che luceano come due stelle, e li videro ancora gli anzidetti Carlo e
Tommaso, e tre altri figliuoli de' signori Guarino, appunto vicino al pioppo
già designato. Dopo ciò udirono molte
grida di gente, la quale dal pagliaio ch'era in mezzo a quel territorio,
invitava i preti di venire a vedere in quel pagliaio un gran lume a
guisa di fiamma ch'erasi veduto ivi. Una donna intanto, chiamata Lucia Marotta,
si buttò di faccia a terra sovra quel luogo in cui si era veduto il lume.
Accorsero i sacerdoti e molte altre persone, e fatta alzare la donna, si cominciò
a cavare quel luogo, ma per allora nulla si ritrovò. Quindi ritirandosi al
paese i due fratelli Giuseppe e Giovanni Orefice, insieme con Tommaso Piccino e
Carlo Marotta, giunti alla strada regia, udirono le grida di più persone
ch'erano rimaste nel territorio, ed ivi ritornati, il Piccino cadde di botto
colla faccia a terra, ed appresso Giuseppe, avendo dati pochi passi, si sentì
spinto da dietro le spalle, ed egli ancora cadde di subito colla faccia a
terra. Nello stesso modo e nello stesso tempo caddero parimente gli altri due,
cioè Carlo Marotta e Giovanni, fratello di Giuseppe; e tutti quattro s'intesero
offese le teste, come se avesser ricevuto un gran colpo di bastone. Alzati che furono, si
avanzarono per pochi altri passi, e tanto Giuseppe, quanto Carlo, Tommaso e
Giovanni videro da sotto un pioppo poco distante uscire un grande splendore a
guisa di sole; e videro tutti e quattro nel mezzo di questo splendore alzarsi
in alto per quattro o cinque palmi una palomba, che poco differiva dallo stesso
splendore; ma la colomba, calando poi nel terreno a piè dell'albero, donde era
uscita, disparve e disparve allora anche lo splendore. Che cosa mai quella
colomba avesse potuto significare, non si sa; ma sembra certo che fu cosa
soprannaturale; e tutte le nominate persone l'attestarono con giuramento
davanti il vicario generale di Napoli. Dipoi stando tutti nel
medesimo luogo gridarono: Ecco qua i
lumi; e postisi in ginocchioni, cominciarono a cercare le sagre particole.
Mentre il Piccino scavava quel terreno colle mani, videro uscire una particola
bianca come carta. Si mandarono allora a chiamare i preti; venne il sacerdote
D. Diego Guarino, il quale inginocchiatosi prese la sagra particola e la pose
in un fazzoletto bianco di lino fra le lagrime e le tenerezze di tutta quella
gente che dirottamente piangeva. Indi si pose il detto
sacerdote a far più diligente ricerca; ed avendo smosso altra porzione di
terreno, vide subito comparire un gruppo di quasi 40 particole, che non aveano
perduta la loro bianchezza, benché fossero state ivi sotterrate per lo spazio di poco meno d'un mese, dacché furono rapite. Le pose nello
stesso fazzoletto, e fu raccolta la terra in cui quelle si erano trovate. Al rumore accorsero altri
sacerdoti del paese, i quali fecero portare colà, pisside, cotta, stola,
baldacchino e torcie, e frattanto andarono un sacerdote ed un gentiluomo a
monsignor vicario per intendere quel che dovesse farsi. Venne l'ordine che si
portassero le particole processionalmente nella chiesa; e così si fece: e le
particole giunsero alla chiesa verso le cinque ore e mezza della notte, e
furono riposte nel tabernacolo. Ciò avvenne nella notte de'
24 di febbraio. La gente rimase consolata, ma non appieno, perché mancava la
maggior parte delle particole, secondo il conto che si faceva. Ma ecco che
nella sera del giorno seguente, martedì 25 del mese, nello stesso luogo di
prima di nuovo si vide comparire un piccol lume, ma assai risplendente, da
molte persone, contadini, gentiluomini, ed anche da sacerdoti, quali furono D.
Diego Guarino, e D. Giuseppe Lindtner, da cui ebbi scritta la prima relazione,
come dissi a principio. Questo sacerdote allora tutto sbigottito additò una
pianta di senape che ivi stava, e cominciò a gridare: Oh Gesù! Oh Gesù! Vedete là quel lume, vedetelo. Ed allora videro
anche gli altri un lume lucentissimo, che si alzava un palmo e mezzo da terra,
e formava nella sommità la figura d'una rosa. Asserisce il più volte nominato
Giuseppe Orefice, il quale anche vi stava, che il lume fu sì risplendente, che
per qualche tempo gli rimasero gli occhi offesi ed offuscati. Si fece allora di nuovo
diligenza in quel luogo per ritrovare il resto delle particole; ma nulla si
ritrovò: ma nella sera del dì vegnente, mercordì 26 di febbraio, fu veduta una
quantità di lumi dintorno al pagliaio del territorio da tre soldati a cavallo,
del reggimento detto Borbone, cioè da Pasquale di Sant'Angelo, della diocesi
d'Atri e Penne, da Giuseppe Lanzano romano, e da Angelo di Costanzo
dell'Acerra, che tutti furono esaminati nella curia arcivescovile; questi
deposero dinanzi a monsignor vicario, come girando essi dintorno alla real
villa di Caserta, ove allora risiedeva la maestà del re, videro nel territorio
di sopra descritto più lumi come stelle
luminose: sono le proprie parole de' soldati registrate nel
processo. Di più, nella stessa sera
del 26, ritornando dalla città di Caserta il signor D. Ferdinando Haam,
gentiluomo di Praga in Boemia, cancelliere e segretario, per la spedizione delle
lettere dell'ambasciata della maestà imperiale e reale apostolica, e passando
verso le tre ore di notte per la strada regia vicino al mentovato territorio,
smontò dal calesse per andare anch'egli a veder quel luogo dove aveva inteso
essersi due giorni prima trovate le particole rubate. Giunto là, vi trovò
molta gente, e tra gli altri il suddetto prete D. Giuseppe Lindtner, ch'era suo
conoscente: questi gli riferì tutto il fatto così del furto, come del
miracoloso ritrovamento delle particole. Ma il signor Haam, dopo aver inteso
quel che gli disse il prete, gli raccontò che anch'egli otto o nove giorni
prima, nel passare per quel luogo ad ore tre di notte in circa, alle 17 o 18
dello stesso mese, quando non ancora aveva udito parlare né del furto né delle
particole prese né de' lumi veduti, vide una
gran quantità di lumi che arrivavano a migliaia; e nello stesso tempo vide
una gran quantità di persone che taciturne e divote stavano dintorno ai detti
lumi. A tal vista egli rimase molto raccapricciato, e dimandò al vetturino che
cosa fossero quei tanti lumi; quegli rispose che forse accompagnavasi il SS.
Viatico a qualche infermo. No, replicò allora il signor Haam, ciò non può
essere, perché si udirebbero almeno suonare i campanelli. Onde sospettò che
quei tanti lumi fossero effetto di qualche stregoneria; tanto più che il
cavallo si era fermato, e non volea passare avanti: e perciò fe' scendere il
vetturino dal calesso, ma per allora non fu possibile far camminare il cavallo,
che tutto spaventato sbruffava; ma finalmente dopo molti stenti il cavallo,
tirato quasi a forza fuori della strada, che corrispondeva al territorio
divisato, si pose a correre con tal fuga, che disse il vetturino queste precise
parole: Gesù, che sarà questo? e così
il detto signor D. Ferdinando se ne andò in Napoli sorpreso da un gran timore.
Tutto ciò ha deposto esso medesimo di persona nella curia arcivescovile, come
si legge nel processo fol. 66 e seg. Nella sera poi del
giovedì, alli 27, verso un'ora di notte i nominati Giuseppe Orefice e Carlo
Marotta si portarono allo stesso territorio, ove trovarono il pagliaio fatto
bruciare da' sacerdoti D. Girolamo, e D. Giuseppe Lindtner, a fine di
far miglior diligenza per le particole che mancavano; e trovarono di più
Giuseppe Piscopo, Carmine Esposito, e Palmiero Novello, che prostrati a terra
piangeano, per aver veduto innanzi di loro comparire e disparire più d'una
volta un piccol lume. Lo che sentendo l'Orefice, inginocchiato cominciò a
recitare a voce alta gli atti di fede, speranza, e carità; in fine de' quali
ritornò a vedere insieme cogli altri che vi erano quel lume che compariva come
un ceretto acceso, il quale più volte -secondo depose l'Orefice -si alzava
quattro dita da terra donde era uscito, ed ivi tornava a nascondersi. Dopo ciò,
posto sovra quel luogo ov'era apparso il lume un segno per non ismarrirlo,
l'Orefice ed il Marotta andarono a darne parte al prete D. Girolamo Guarino, il
quale subito portossi in quel luogo, e vi ritrovò più persone inginocchioni; ed
egli si pose a far diligenza sovra il terreno in cui si era posto il segnale. Allora nuovamente da molte
persone si vide il lume, e 'l Guarino che nulla vedea, fece colla mano sul
terreno un segno di croce, ed ordinò al suo fratello Giuseppe, che con uno
stromento villareccio che teneva in mano avesse scavata la terra dalla parte
sinistra di quel segno di croce impresso sul terreno, ch'era stato suolo del
bruciato pagliaio; ma nulla si trovò. Non però quando si pensava di fare
scavare in altra parte, Giuseppe Orefice che tuttavia stava inginocchiato,
poggiando la mano in terra, e trovandola molle e cedente, ne avvisò il Rev.
Guarino; questi, con un coltello che fe' darsi dal suo fratello, diè con quello
un colpo sul luogo segnato colla croce, e nel profondarlo che fece intese un
certo romore, come quando si frangono più ostie unite insieme. Tirando poi
fuori il coltello, tirò unita a quello una zolla, cioè un pezzo di terra di
figura rotonda, ed unito alla zolla vide un gruppo di molte particole.
Sbigottito il sacerdote a tal vista, gridò attonito: Oh, oh, oh e poi cadde come in un deliquio, in modo che gli mancò
la vista, come egli ha deposto, ed avendo perdute le forze, gli caddero di mano
il coltello, la zolla e le particole. Rinvenuto poi che fu il
Guarino dal suo svenimento, si cavò dalla saccoccia un bianco fazzoletto di
lino, e ponendovi le particole, le ravvolse e ripose nello stesso fossetto in
cui si eran trovate; poiché, per lo gran tremore che gli era sopravvenuto, specialmente nelle braccia, non avea forza di reggersi. Di ciò
essendo stato informato il signor Parroco, subito si portò al luogo dove
ritrovò tutti che stavano genuflessi innanzi a quel sagro tesoro nascosto; onde
informatosi meglio del succeduto, ritornò alla sua chiesa, e di là mandò il
baldacchino, l'ombrella, il pallio, molte torce di cera, ed un calice, in cui
furon riposte le sagre particole; e quindi il pallio e l'ombrella dagli
assistenti tenevansi spiegati sopra d'un tavolino coperto di seta, e molte
persone colle torce accese in mano stavano genuflesse dintorno al Sagramento,
con molto popolo accorsovi non solo dal paese, ma anche da altri casali, coi
loro sacerdoti, e tutti piangeano per tenerezza. Frattanto si partirono il
sacerdote Lindtner ed il signor Giuseppe Guarino per andare a trovare monsignor
vicario, e ritornarono verso le dieci ore coll'ordine di trasferirsi
solennemente colla processione le ritrovate particole alla chiesa parrocchiale
di S. Pietro a Paterno. E così fu fatto, cantando tutti per via lodi al
Signore. Giunti che furono alla chiesa, fu data loro la benedizione col
medesimo calice, in mezzo alle lagrime e gridi di tenerezza di tutto quel
popolo che non si saziava di piangere e di ringraziare il Signore che così gli
avesse consolati. Di simili prodigi
miracolosi, in conferma della verità del SS. Sagramento operati, se ne leggono
molti nelle antiche istorie; anch'io nella mia opera dell'Istoria dell'Eresie2 ho narrati più
esempi circa questa materia al tempo dell'empio Wicleffo, che fu il primo tra
gli eretici moderni a negare questo venerabil Sagramento; ma in quello stesso
tempo Iddio, per confondere la loro incredulità, operò vari prodigi, da me
scritti nel mentovato libro al Cap. 10,
num. 36 e 37. Ma non mancano alcuni spiriti critici che ricusano
universalmente di credere a tali prodigi antichi, dicendo: Ma chi l'ha veduti? Se taluno pero
volesse mettere in dubbio anche quello da me narrato e provato con tanta
esattezza dalla curia arcivescovile di Napoli, ben egli può accertarsene
facilmente con andare al nominato paese di S. Pietro a Paterno, poco
distante dalla città, dove troverà molti secolari ed ecclesiastici, i quali gli
attesteranno che i prodigi riferiti gli han veduti co' propri occhi. Del resto dicano altri ciò
che vogliono, il fatto narrato io lo tengo per più che certo, e perciò ho
voluto farlo palese al pubblico colla stampa. È vero che il miracolo descritto
non merita altra fede che puramente umana; nondimeno tra i fatti di fede umana
non so se possa esservene un altro che meriti più credenza del narrato, attese
le informazioni con tanta diligenza prese dalla curia di Napoli, e le
testimonianze non già di femminelle credule, ma di 17 maschi, secolari e
sacerdoti, che hanno deposto giudizialmente con giuramento quel che han veduto
cogli occhi propri. Tutte queste circostanze che formano tanti caratteri di
verità, rendono il fatto più che moralmente certo. Onde spero che tutti coloro
che lo leggeranno non vorranno esser duri a crederlo, ma si adopreranno a
pubblicarlo per gloria del SS. Sagramento dell'altare.